E’ l’icona più romantica del jazz, che ha attraversato con entusiasmo la vita e l’arte sino alla sua corsa sfrenata. Chet Baker amava l’Italia, Roma soprattutto, dove tenne il suo primo concerto nel gennaio 1956, al Teatro Eliseo e l’ultimo nel 1988 al Music Inn, prima di partire con la sua Alfa Romeo beige per Amsterdam, dove la notte del 13 maggio 1988 precipitò dal terzo piano di un hotel di terza categoria. In due parole la sua vita: dall’apparizione negli anni ’50 – quando un giovane incredibilmente bello dell’Oklahoma apparve sulla costa occidentale per diventare, apparentemente da un giorno all’altro, il principe del jazz “cool” – fino alla sua morte violenta, Chet Baker ha vissuto una vita che è diventata un mito americano. Assomigliava a Jeames Dean, era stra-amato dalle donne, suonava la tromba come nessuno, era amico di tanti della gioventù bruciata dell’epoca. Il decollo della sua stella fu come trombettista a partire dall’estate del 1952, quando fu scelto da Charlie Parker per suonare nella sua band in una serie di concerti sulla West Coast. Alla fine del tour iniziò a suonare nel quartetto di Gerry Mulligan, un gruppo composto solo di sax baritono, tromba, basso e batteria, senza pianoforte: entrò nell’Olimpo dei quattro più grandi trombettisti dell’epoca d’oro (“Down Beat” lo definì nel ‘54 il miglior trombettista del mondo).
Parlava l’italiano, in Italia e soggiornò spesso in Roma, ma fu ovunque nello Stivale, dalla Bussola di Viareggio al Festival di Sanremo; nella Capitale conduceva una vera e propria Dolce Vita felliniana che lui tanto impersonava: non era raro incontrarlo nel centro di Roma suonare per strada, dove la sera sapeva di poter incontrare molti dei suoi amici musicisti nel jazz club Alexanderplatz e ancora di più di un locale di Trastevere, il Manuia, in voga negli anni Ottanta e ritrovo di musicisti e gente dello spettacolo. Il Manuia era un ristorante alternativo del 1970 sorto sulle ceneri di un’antica osteria di Trastevere in Vicolo del Cinque e da qui nacque il Manuia con cucina italiana e francese, con il servizio curato dagli stessi soci e colleghi. Il successo fu immediato, è stato frequentato dai più noti personaggi dello spettacolo e della moda; la sala ristorante era sempre molto affollata e dopo un paio d’anni fu aperto un bar attiguo con musica dal vivo, che variava dal jazz al rock, con vari musicisti che lasciarono un segno indimenticabile. Siamo alla fine di questo breve racconto di un grande del jazz: persino per l’ultimo viaggio che lo portò a morire in una notte ad Amsterdam, Chet Baker scelse qualcosa di italiano, una Giulietta cabriolet bianca.